Scritti di Sergio Bianco nel dominio dei Simboli.

Logo Santa Margherita: il fiore che non m’ama

 

La cover del libro “Turismo d’autore”,
appoggiata sopra il volume Logogenesi,
rappresenta il celebre manifesto
di Santa Margherita Ligure
dipinto da Walter Molino nel 1938.
Una donna sorridente e illuminata dal sole
lancia in aria le margherite.
La figura femminile,
col suo vestito floreale bianco e giallo,
si staglia
contro l’azzurro del cielo e del mare
e il verde del golfo del Tigullio.
Le braccia aperte esprimono libertà.

Ottantaquattro anni dopo,
sulla scia del poster di Walter Molino,
il comune di Santa Margherita Ligure
lancia un nuovo logo.

Il Simbolo è una testa di donna
con chioma fluente
adornata da tre fiori.
Il lettering Santa Margherita Ligure,
disposto su tre righe
completa la composizione del Logo.

La scelta della figura femminile
si lega al Nome della località
e vorrebbe collegarsi
al valore sacro e vitale
dell’universo femminile,
al rispetto,
alla gentilezza, al fascino
e alla bellezza in senso ampio.

Le buone intenzioni
si scontrano purtroppo con la realtà,
ovvero con il modo in cui la donna
è graficamente espressa.

Walter Molino, con la sua arte,
dipinge il fascino fresco
e ridente di una Dea
perfettamente inserita
nella bellezza della natura circostante.
È quindi una celebrazione
che va oltre la rappresentazione femminile
poiché raggiunge un ideale emotivo
di intensa gioia.
Emozione che genera senso di appartenenza,
il desiderio di essere lì,
di viaggiare in quei luoghi incantati,
di viverli, di innamorarsene,
di respirare quell’aria e quei profumi.

L’icona femminile utilizzata nel simbolo attuale
è ben lontana dall’esprimere la stessa emozione
e, a dire il vero, non manifesta alcuna bellezza
poiché è disegnata
senza conoscenza delle regole basilari,
i dodici codici
che determinano la riuscita di un logo impeccabile.

Osserviamo con spirito costruttivo i particolari.

La chioma è la pettinatura di una bambola
che rivela un bernoccolo sulla fronte.
La bocca è un baffetto inespressivo
che sembra tratto dal manifesto di un barbiere.
L’ovale del viso non è armonico:
presenta interruzioni nella linea del volto
ed è simmetrico in modo innaturale.
L’unico aspetto apprezzabile
è il terminale sinistro dei capelli
che evoca l’onda del mare.

Ma l’errore più grave
che si riscontra è la forma del fiore.
Il petalo della margherita, nella realtà,
è ben diverso da quello rappresentato.
L’accostamento tra fiore e nome d’Impresa
deve essere immediato.
È quindi doveroso e imprescindibile
che il fiore ricordi al volo la margherita.
Il simbolo quindi non dice la verità.
Tradisce il codice della coerenza.
Il petalo della margherita è appuntito,
è più numeroso del sei,
e soprattutto è in numero dispari.

La margherita in natura
è creata in virtù della divina proporzione
e segue la successione aurea di Fibonacci.
Per questa ragione i petali,
generalmente, sono dispari.
Perché questo particolare
è così importante?

Perché la formula dell’amore,
la nota filastrocca
presente nella mente e nel cuore di ognuno,
“M’ama o non m’ama”
si risolve in modo positivo
solo in presenza di un numero dispari di petali.
Il fiore a sei petali
è quindi un fiore che non m’ama.

Certamente il disegno del logo
non è un trattato di botanica.
Eppure il compito del disegnatore,
rispettando i codici dell’estetica,
della motivazione, della sintesi,
della chiarezza e della riproducibilità,
è far comprendere in modo inequivocabile
la vera natura del fiore,
in questo caso la margherita.

Il codice della matematica
è la chiave della bellezza
che si manifesta attraverso numeri,
geometrie sacre, rapporti aurei
che sono presenti
nelle meraviglie della natura
e nei capolavori che ad essa si ispirano.
Il rapporto 1,618 è presente,
ad esempio, nel nautilus,
nel girasole, nell’elica del dna,
nella forma delle galassie,
nella spirale logaritmica del volo del falco.
È il rapporto ideale tra base e altezza
presente nel Partenone di Fidia. (Phidia)
Da qui deriva la sigla PHI
che lo contraddistingue.

Il rapporto tra base e altezza del simbolo
corrisponde al numero 1,196:
un rapporto numerico insignificante.

La ripetizione dei tre fiori
è un esercizio scolastico
che ricorda la timbratura stencil.
La peculiarità del vero simbolo
si concentra nel motto latino “non plus ultra,”
nulla di più e nulla di meno,
nessuna mancanza e nessun eccesso.
La triplice ripetizione
di un segno banale e decorativo,
scaricabile da qualsiasi banca d’immagini,
toglie forza al marchio e alla sua unicità.
Inoltre mantenere uguale la misura del fiore
annulla la dinamica simbolica
della prospettiva e del movimento.

Il simbolo poi,
riguardo al codice della riproducibilità
presenta 18 punti deboli:
La linea che separa i petali
è troppo sottile
e quindi tale linea, ripetuta 18 volte,
si chiuderà e si impasterà inevitabilmente
quando il logo
sarà stampato in piccole dimensione,
o ricamato o riprodotto in rilievo a secco
o in impressione a caldo.

Il lettering disposto su tre righe
è espresso con un carattere disegnato su misura
con i tratti orizzontali
che ricordano le onde del mare.
Il lettering è piacevole e non presenta difetti.
La distanza tra le lettere è abbastanza corretta
anche se perfettibile poiché presenta
un’eccessiva vicinanza e densità visiva
in corrispondenza delle tre lettere LIG.

In conclusione, ancora una volta,
siamo di fronte a uno spreco di energia.
Un’intenzione valida
realizzata in modo superficiale e imperfetto
e colpevolmente approvata.

Come se l’idea del manifesto del 1938
fosse stata affidata a un dilettante
senza conoscenza dei segreti del colore
della composizione e della luce
piuttosto che a un maestro come Walter Molino.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
il fiore che non m’ama
è un segno depotenziante
che non rende giustizia
all’intenzione nobile del progetto,
alla bellezza magica di Santa Margherita
e alla passione e all’impegno
delle Imprese locali e delle persone
che lavorano ogni giorno
per generare prosperità e benessere.

Sergio Bianco
Artigiano del simbolo
Fondatore di Logogenesi

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