Scritti di Sergio Bianco nel dominio dei Simboli.

La vie en rose. Costruzione simbolica dell’esprit

 

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Viaggiando da Camogli verso la Francia,
oltre il ponte di Renzo Piano,
inizio a percorrere la riviera di ponente.

Rispetto alla riviera di levante
si respira una bellezza diversa
che si traduce in spazio e luce.

Si avvicina l’aria della Provenza
che valorizza i suoi vini rosati
in modo affermativo
rispetto ad altri vini.
Non è solo questione
di uva, sole, vento o territorio,
è soprattutto questione di esprit.

Naming, vetro,
etichetta, simbolo,
lettering, colore,
trasparenza, carica emotiva,
frechezza, sensualità…

Non abbiamo ancora aperto
la bottiglia
e siamo già ammaliati
e magneticamente attratti
da un vino non ancora assaporato
ma da un esprit
già pienamente percepito.
Il rosa non è necessariamente
solo colore,
è assenza di gravità.

A proposito di esprit,
da Camogli alla Provenza,
la direzione è quella giusta…

Dove è nata la canzone
la vie en rose?
A Parigi, naturalmente.
È stata scritta da Edith Piaff
alla fine della guerra,
nel 1945.
Il titolo era diverso:
les choses en rose.

Edith scrive le parole
e si rivolge a Robert Chauvigny,
suo arrangiatore di fiducia,
che si rifiuta di comporre la musica
per un testo così frivolo.

Edith Piaf non si arrende
e trova nel pianista Louis Gugliemi
la persona giusta
per mettere les choses al posto giusto,
(nel cestino)
per posizionare la vita al centro
e per dare musica e titolo
al pensiero di Edith.

Nasce così La vie en rose.
Un successo planetario
che, tradotto anche in altre lingue,
preserva, nella canzone stessa,
il titolo originale francese.

Si determina così il meme,
frase proverbiale,
motto simbolico,
colore di speranza,
occhiale eccentrico,
trasparenza gioiosa
che rappresenta la visione positiva
e ottimistica della vita.

Eppure, la vita di Edith Piaf
è costellata anche di eventi drammatici.
La morte della figlia di due anni,
la perdita del suo amore-pugile
precipitato dal ring della vita
in un incidente aereo,
e relazioni travagliate
in equilibrio tra gioia e dolore.
Eppure questo titolo, la vie en rose,
fa parte del suo DNA
come un tesoro sommerso.

L’ottimismo fa miracoli
anche in tempi bui.
Edith Piaf lo dimostra
portando a termine il suo capolavoro
di rosa incoscienza.

Si esibisce in Germania,
in un campo di concentramento
e riesce a farsi fotografare
insieme ai prigionieri francesi.
Quando torna a Parigi,
utilizza quelle foto
per creare documenti d’identità falsi.

Nel doppiofondo della sua valigia
la cantante porta personalmente
in Germania
quei documenti falsi.
Così ben 118 prigionieri francesi,
passando come musicisti di Edit Piaf,
riescono a tornare a casa
grazie a Lei.

Il nero e il bianco della visione yin-yang,
il ponte crollato e ricostruito,
l’aria della Provenza,
un’esistenza di otto stagioni,
un pugile che vola oltre il ring,
la costruzione simbolica dell’esprit
forgiata insieme ad un simbolo
che adesso è reale.

Questa è la vie en rose:
la forza prorompente dell’ottimismo
che ti salva la vita.

Sergio Bianco, Logogenesi

 

 

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